La tecnologia sta concretamente cambiando il nostro modo di vivere. Soprattutto sta trasformando la realtà di chi, per troppo tempo, si è trovato a dover fare i conti con barriere invisibili e perniciose, ostacoli tentacolari ed esiziali che sono spesso difficili da riconoscere da chi non le vive sulla propria pelle. Per le persone non vedenti e ipovedenti non è solo questione di avere strumenti di supporto più avanzati: è il mondo che finalmente si sta avvicinando a loro e non il contrario. Ed è questa la vera rivoluzione.
A Milano, nel novembre 2024, è stato inaugurato l'Accessibility Discovery Center (A) di Google, centro di ricerca e punto d'incontro tra chi crea la tecnologia e chi la utilizza davvero. Situato in via Federico Confalonieri, si affianca agli altri hub di Monaco, Londra, Dublino e Zurigo, ma con un'anima tutta sua. Lettori di schermo più intelligenti, videogiochi accessibili: tutto nasce dal confronto diretto con chi ha bisogno di queste soluzioni, perché l'inclusione non è un concetto astratto, ma qualcosa che deve funzionare nel quotidiano, senza frustrazioni.
Tra le soluzioni più all'avanguardia si trovano Live Transcribe, che trasforma in tempo reale la voce in testo e Guided Frame, un sistema che ottimizza l'uso della fotocamera per persone con disabilità visive. Un altro progetto di grande impatto sviluppato dall'Adc è Pathway Companion, una piattaforma educativa intelligente nata dalla collaborazione con la Fondazione Don Carlo Gnocchi e l'Università di Roma Tre. Questo strumento, pensato per supportare studenti con bisogni educativi specifici, sfrutta l'intelligenza artificiale per offrire percorsi di apprendimento su misura, favorendo un'istruzione accessibile a tutti. Un progetto come questo è sia un investimento tecnologico che una dichiarazione d'intenti: non si tratta più di adattare il mondo a chi ha una disabilità, ma di costruirlo fin dall'inizio con l'idea che nessuno debba sentirsi escluso.
Ed è proprio questo il punto: l'accessibilità non dovrebbe essere un pensiero secondario, una funzione aggiunta a posteriori, ma un pilastro centrale dell'innovazione. Perché l'inclusione vera non è creare strumenti speciali per pochi, ma progettare strumenti universali per tutti. E se si pensa a quante cose sono diventate di uso comune proprio perché nate per chi aveva esigenze specifiche, dai sottotitoli ai comandi vocali, si capisce quanto questa logica sia vincente per l'intera società.
Nel frattempo, la tecnologia continua a evolversi in modi che fino a qualche anno fa sembravano fantascienza. Recentemente hanno fatto molto parlare di sé gli occhiali iSee One, frutto di anni di ricerca da parte di iVision Tech, azienda con sede a Martignacco, in provincia di Udine. I primi occhiali tecnologici made in Italy che, grazie a un sistema di rilevamento ostacoli, aiutano a percepire lo spazio circostante tramite il suono. Grazie a una mappatura che viene trasmessa attraverso segnali sonori, questi occhiali danno una nuova chiave di lettura della realtà, una sorta di sesto senso tecnologico che rende gli spostamenti più sicuri e naturali.
Poi c'è il Wewalk Smart Cane 2, che prende il classico bastone per non vedenti e lo trasforma in qualcosa di decisamente più avanzato. Presentato al Ces 2025 di Las Vegas, la più grande fiera dedicata alla tecnologia, questo bastone smart è stato progettato dalla società londinese Wewalk. Un dispositivo che non solo segnala gli ostacoli ma fornisce informazioni su ciò che lo circonda: semafori, fermate dei mezzi, attraversamenti pedonali. E grazie alla connessione con assistenti vocali e mappe digitali, diventa un vero e proprio strumento di orientamento attivo, un po'come avere un Gps che sa esattamente di cosa hai bisogno.
Ma la tecnologia non si ferma mai e c'è chi punta ancora più in alto. La startup rumena .lumen, per esempio, ha sviluppato un paio di occhiali che funzionano in modo simile a un cane guida, traducendo l'ambiente circostante in segnali tattili e sonori. Questi smart glasses sono un vero e proprio compagno di viaggio che, attraverso telecamere e sensori, mappano l'ambiente circostante e suggeriscono percorsi sicuri, adattandosi alle necessità dell'utente. L'idea non è semplicemente aiutare a orientarsi ma creare un nuovo modo di interpretare lo spazio.
Tutto questo, però, rischierebbe di restare un privilegio per pochi se non ci fosse una spinta normativa a garantire che l'accessibilità diventi un diritto e non un'opzione. Il 28 giugno 2025 entrerà in vigore la Direttiva (Ue) 2019-882, nota come European Accessibility Act, che stabilisce degli standard minimi per prodotti e servizi digitali. Non più soluzioni speciali per un pubblico ristretto ma un approccio universale in cui l'inclusione è parte integrante del processo di progettazione.
Ed è qui che si gioca la partita più grande. Perché non basta avere la tecnologia, bisogna anche garantire che sia diffusa, accessibile economicamente, supportata dalle istituzioni. Le grandi aziende stanno facendo passi avanti ma serve un cambiamento culturale che parta dalla società nel suo insieme. Bisogna smettere di pensare all'accessibilità come a qualcosa che riguarda gli altri e iniziare a vederla come un'opportunità collettiva. Perché un mondo più accessibile è un mondo più efficiente per tutti. Dal nuovo centro di Google a Milano alle tecnologie che stanno riscrivendo le regole della mobilità, una cosa è chiara: il progresso vero non è quello che corre avanti lasciando indietro qualcuno, ma quello che trova il modo di portare tutti con sé. E se è vero che il futuro appartiene a chi sa immaginarlo, allora non c'è dubbio: quello che ci aspetta sarà un mondo molto più inclusivo di quello che lasciamo alle nostre spalle.
Lucia Tedesco - Wired
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