«Il futuro è già qui, solo che non è equamente distribuito»

William Gibson

mercoledì 20 maggio 2009

Intervista al computer. «Io, l’autismo e lo studio»

ZOAGLI (Genova) — Un’intervista con un ragazzo autistico è una contraddizione in termini. Chi è prigioniero di questa condizione è isolato dal mondo, non riesce a comunicare. Ma a Zoagli la strada si è aperta. Al tavolo di cucina di una casa fra gli ulivi, a picco sul mare, è seduto Alberto, 29 anni, autistico.
La casa è bellissima, è l’ex scuola elementare della frazione di Sant’Ambrogio e il Comune di Zoagli l’ha messa a disposizione di questo progetto della cooperativa «Appartamento» del consorzio Agorà. Ci vivono quattro giovani autistici, Alberto, Luca, Francesco, Mattia. Con loro gli educatori, uno psicologo, un neuropsicologo. Alberto ha trovato il suo modo per collegarsi con il mondo esterno: il computer. Si è diplomato e ha superato 14 esami all’università. Ma ora non vuole continuare gli studi. Un computer è sul tavolo, Alberto ha accettato un’intervista. Per parlare di sé, della sua condizione. Ma il primo a fare una domanda, scrivendo con un dito sulla tastiera dai caratteri ingranditi, è lui: «Mi interessano le sue emozioni», scrive. Riguardo alla tua situazione? «Sì», risponde. Vuole sapere non cosa penso dell’autismo, di cui ho parlato con sua madre Patrizia mentre lui ascoltava non visto, oltre una porta, ma cosa provo.
Trema, le dita stentano a trovare i tasti, chiude gli occhi, si concentra in modo spasmodico. La domanda, sul computer è: «Cosa desideri per te, per la tua vita?». Uno sbaglio. È una domanda troppo diretta, perfino invasiva. Risponde: «Al momento credo di volere vivere sereno e fattivo anche da autistico». Questo è il suo progetto e per questo ha sospeso gli esami all’Università: «Voglio vivere sereno da autistico — scrive — non solo da studente impegnato a raggiungere bei voti sul livido libretto dell’università».
Ogni parola costa grande sforzo. Il libretto è «livido» perché è estraneo, è freddo? Sì, risponde Alberto. Poi scrive: «Il giornalismo sicuramente mi affascina ». La tensione si allenta, la domanda successiva è di cosa gli piacerebbe scrivere. Alberto si alza, si allontana, torna a sedersi, si concentra. Vuole scrivere, non riesce a scrivere. Bjorn, uno degli educatori che vive nella casa, lo aiuta. Alberto torna al computer: «Starei immaginando di scrivere appassionate parole sul pensiero spirituale...». Poi, fa vedere un suo scritto sul pensiero di San Paolo, sull’amore, sulla serenità, sull’amicizia. Qualche tempo fa, racconta Bjorn, hanno chiesto a Alberto se gli interessano le ragazze. Lui ha scritto: «Mi affascinano ma non si è fatta avanti nessuna per trasformarmi in un bel principe ». È capace di ironia, Alberto, e sa prendere gentilmente in giro il suo interlocutore. Ma ora è molto stanco, l’intervista si interrompe, la sua è quasi una fuga. Nella su a camera ha voluto affiggere al muro un «patto» che ha sottoscritto con gli educatori: il patto impegna tutti a far sì che il lavoro di Alberto sia sempre e solo «intellettuale». È stato chiaro, non vuole fare «lavoretti», cose manuali per cui non ha alcun interesse. La casa di Sant’Ambrogio è un progetto pilota, è nato due anni fa dalla volontà della madre di Alberto che ha cercato un contatto alternativo a quello verbale con il figlio ma ha lavorato, dice, «non solo per lui». Con genitori di altri giovani autistici ha dato vita alla cooperativa, ha ottenuto l’appartamento in comodato dal Comune, poi è venuta la convenzione con le Asl. Nella casa possono essere ospitati altri due ragazzi, per loro sarà per la vita: «È la risposta — dice Patrizia Cadei — alla domanda che tutti noi ci poniamo: cosa succederà a mio figlio quando io non ci sarò più?». Oggi, spiega, per gli autistici adulti il futuro è quasi sempre in un istituto dove sarebbero accuditi ma f inirebbero per essere totalmente passivi. «La vita interiore degli autistici può essere ricchissima», dice Patrizia. Le piccole comunità economicamente sostenibili come l'Appartamento, in cui si sommano gli sforzi di tanti, dal piccolo Comune di Zoagli alle famiglie all'Asl, possono essere una soluzione.
Erika Dellacasa
(fonte: Press-IN anno I / n. 1098 - Il Corriere della Sera del 19-05-2009)
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