Jose Ferreira è amministratore delegato e fondatore di Knewton, un’agenzia di formazione online nel 2011 eletta “technology pioneer” dal World economic forum, come in anni precedenti Google, Mozilla e Twitter. Tempo fa l’Economist lo ha intervistato e Ferreira tra l’altro ha ricordato che nella gigantesca industria mondiale dell’istruzione, un affare da sette miliardi di miliardi di dollari, l’istruzione online, oggi al 10 per cento del settore, toccherà il 50 nei prossimi 25 anni. Ferreira va più in là: presto non parleremo più di online learning ma solo di learning.
Ma, allora, non si capisce perché la Commissione europea per la società dell’informazione lasci in ombra tra le decine di indicatori del suo annuale Digital agenda scoreboard quelli specifici per valutare la penetrazione dell’online nelle scuole dei paesi europei. Occorre servirsi di dati Ocse, di più lenta pubblicazione, oppure valutare il fenomeno sulla base di indicatori generali e indiretti. Quelli dell’agenda europea segnalano un divario crescente tra i paesi più sviluppati e Cipro, Bulgaria, Italia e Grecia in coda sia per infrastrutture sia per effettiva capacità e abitudine di navigare nel web.
Nella media gli europei che non usano mai internet sono ridotti ormai a un quarto della popolazione, sono invece ben oltre il 40 per cento nei paesi arretrati, il 41 in Italia. Se “internet rende stupidi”, ciprioti, bulgari, italiani e greci possono gioire: quasi metà della popolazione è largamente al riparo dal rischio.
(Tullio De Mauro, Internazionale, numero 932, 20 gennaio 2012)
giovedì 2 febbraio 2012
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