«Il futuro è già qui, solo che non è equamente distribuito»

William Gibson

giovedì 10 settembre 2009

Dislessia, nell'era di pc e cellulari impossibile ignorare lettere e cifre

Confonde la p con la b, la d con la q, la u con la n. Fa fatica a distinguere la m dalla n, la e dalla c. Quando, sotto dettatura, sente la parola «campo», scrive «capo», e «fiume» diventa «fume». Inverte le sillabe: «ni» al posto di «in». La sua non è una malattia, bensì una disabilità. Si chiama dislessia.
Chi ne è affetto ha delle difficoltà nella decifrazione dei segni grafici a livello visivo, non li riconosce adeguatamente, ma fa anche fatica a distinguere il suono delle parole; è deficitario sotto l'aspetto fonologico.
Non esiste un solo tipo di dislessia, spiega Giacomo Stella, psicologo, direttore, insieme al neuropsicologo Enrico Savelli, della rivista Dislessia, ma almeno due: evolutiva e acquisita, con varie gradazioni e conseguenze. Ogni individuo appare diverso. Si tratta di un problema che riguarda il modo in cui lavora il nostro cervello, o forse, come sostengono nuove ricerche, come si coordinano le diverse aree addette alle funzioni del vedere e del sentire.
Un tempo questo disturbo era quasi assente, o meglio: veniva scarsamente rilevato. Nel 1895 l’oftalmologo James Hinshelwood la scopre e subito la definisce «cecità per le parole», ma senza capire bene perché è così; nell'occhio non c'era alcun problema di deficit. Allora, alla fine del XIX secolo, le persone che sapevano leggere e scrivere erano una minoranza, poiché la maggior parte della popolazione, anche dei Paesi occidentali, continuava ad essere analfabeta.
Oggi, invece, è quasi impossibile ignorare lettere e cifre; ora che il computer e il cellulare obbligano tutti, o quasi, a comporre frasi, e insieme a decifrarle, la dislessia è divenuta un deficit diffusissimo.
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