«Il futuro è già qui, solo che non è equamente distribuito»

William Gibson

venerdì 24 maggio 2019

Perché non ci convincono quelle modifiche al Decreto sull’inclusione scolastica

Suscitano, secondo noi, diverse perplessità le proposte di modifica del Decreto Legislativo 66/17 approvate recentemente dal Consiglio dei Ministri. Che in quel Decreto ci fosse parecchio da correggere era fuori discussione, ma ovviamente poi bisogna vedere cosa e come si corregge.
Partiamo dunque con i punti maggiormente sbandierati nei vari proclami ufficiali, ma vediamo anche alcuni aspetti, forse secondari, e tuttavia per nulla banali.

1. Viene celebrata la nascita del GLO, Gruppo di Lavoro Operativo, ma di nuovo c’è solo l’ufficializzazione del nome, visto che si tratta del Gruppo di Lavoro che definisce, approva e verifica il PEI (Piano Educativo Individualizzato) di ogni singolo alunno con disabilità, previsto fin dalla Legge 104/92.
In realtà una novità c’è, già prevista nella versione del 2017 di questo Decreto, ed è la fine della gestione congiunta scuola-ASL del progetto educativo. Per gli specialisti non è più prevista neppure la partecipazione agli incontri di programmazione, ma solo un generico e imprecisato «supporto» e tutto il processo che porta ai PEI è gestito solo dalla scuola, come per i Piani Didsttici Personalizzati (PDP) dei DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento).
Su questo punto le Associazioni non hanno mai fatto obiezioni e quindi era difficile aspettarsi qualche novità da questa modifica del Decreto. E così ovviamente è stato.

2. Viene nettamente ridimensionato il ruolo dei GIT (Gruppi per l’Inclusione Territoriale), ma veramente, come si sente dire, sarà il GLO, il Gruppo di Lavoro Operativo, ossia la scuola, a decidere quante ore di sostegno spettano a una classe? No: il GLO propone, ma non decide.
Cosa succede se – evento per nulla raro come ben si sa – nelle scuole si chiede sempre il massimo per tutti? La risposta si trova nelle due righe dell’articolo 10, comma 2 dello schema di Decreto: «L’ufficio scolastico regionale assegna le risorse nell’ambito di quelle dell’organico dell’autonomia per i posti di sostegno. Decidono loro, punto. E senza neppure bisogno di spiegare o argomentare. E contraddicendo la Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale che ha stabilito che non si possono applicare limiti predefiniti alla dotazione degli insegnanti di sostegno, essendo l’istruzione un diritto fondamentale.
In questo modo sarà confermata purtroppo la situazione, profondamente iniqua, che conosciamo: le famiglie che possono si rivolgono al Giudice e qualcosa ottengono, mentre le altre si spartiscono quello che resta. Saranno contenti gli avvocati!
Nonostante le tante criticità, il GIT rappresentava almeno un tentativo per superare il problema, soprattutto se si riusciva a creare un rapporto vero, non burocratico, con le scuole, basato sulla responsabilizzazione di tutti affinché le risorse andassero davvero dove servivano.

3. A nostro parere non si sentiva proprio la mancanza di un PEI provvisorio da approvare entro il mese di giugno (nuovo comma 2 g dell’articolo 7). Se a fine anno si fa una seria verifica del PEI, questa già contiene le indicazioni che possono servire al Gruppo di Lavoro Operativo dell’anno successivo per progettare gli interventi in modo adeguato. Gli adempimenti burocratici inutili non migliorano l’inclusione, anzi…

4. Porre fine al continuo carosello di insegnanti di sostegno, soprattutto tra i molti assunti con contratto annuale, è da tempo una delle esigenze più sentite delle famiglie: è l’annosa questione della mancata continuità didattica.
Nelle prime elaborazioni di questo Decreto si parlava di obbligo di permanenza nel sostegno per dieci anni, poi si è passati a cinque, ma sullo stesso alunno, poi è rimasto in pratica solo l’articolo 14, comma 3, che autorizzerebbe i Dirigenti Scolastici a confermare sullo stesso posto i supplenti annuali di sostegno nell’interesse dell’alunno e l’eventuale richiesta della famiglia. Un provvedimento che ha fatto sperare – illudere, possiamo dire oggi – centinaia di famiglie che ogni anno scaricano i modelli da internet, li compilano e li inviano fiduciosi al Dirigente Scolastico. Tutto inutile, perché per rendere operativo il Decreto serviva l’approvazione di un regolamento che non è mai passato e che nessuno ha mai veramente voluto, e quindi tutto è ancora bloccato.
Cambia qualcosa con le modifiche ora proposte? Sì, ma riteniamo in peggio: infatti, la possibilità di conferma per i precari si applica adesso solo se gli insegnanti di sostegno sono specializzati, ignorando, o facendo finta di ignorare, che in molte Regioni d’Italia quasi tutti gli insegnanti assunti in questo modo sono non specializzati. E a questo punto l’annosa storia degli interventi promessi per garantire la continuità assume decisamente per i genitori le caratteristiche di un’amara presa in giro.

5. In tanti si dava per scontato che una correzione del Decreto 66/17 coinvolgesse anche l’articolo 2, quello che, dopo avere detto nell’articolo precedente che l’inclusione riguarda tutti, afferma che: «Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano esclusivamente alle bambine e ai bambini della scuola dell’infanzia, alle alunne e agli alunni della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, alle studentesse e agli studenti della scuola secondaria di secondo grado con disabilità certificata ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104». Ma in realtà nulla è cambiato.
Può essere che solo a noi appaia strana l’idea di un’inclusione destinata solo a un gruppo ristretto, ma davvero non riusciamo a capire come si possa applicare solo agli alunni con disabilità certificata l’articolo 4 sulla valutazione della qualità dell’inclusione scolastica, l’articolo 8 sul piano per l’inclusione, l’articolo 9 sui vari gruppi per l’inclusione, l’articolo 13 sulla formazione in servizio e, addirittura, l’articolo 16 sull’istruzione domiciliare.
Dopo anni di discorsi sui bisogni educativi speciali, sulle difficoltà e i disturbi di apprendimento, sulla didattica inclusiva per tutti… possibile che dei princìpi dell’inclusione non sia rimasto proprio nulla?

6. All’articolo 9 viene aggiunto il comma 11 sulla partecipazione al GLO degli studenti con disabilità: «All’interno del Gruppo di Lavoro Operativo, di cui al comma 10, è assicurata la partecipazione attiva degli studenti con accertata condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica nel rispetto del principio di autodeterminazione».
Belle parole, ma in pratica cosa vuol dire? Qualcuno pensa davvero che sia possibile «assicurare», ossia garantire a tutti, in ogni caso, la partecipazione “attiva” di queste persone a dei gruppi di lavoro? E ricordiamo che chi rappresenta legalmente il ragazzo, finché è minorenne, sono i genitori. Un conto sono indicazioni educative che sostengono l’autonomia e l’autodeterminazione, un altro è assicurare per legge dei diritti che all’atto pratico risultano impossibili da garantire.
Se lo studente è maggiorenne ovviamente partecipa lui agli incontri, ma per questo non serve un nuovo Decreto, basta il Codice Civile.

7. Infine, l’istruzione domiciliare: il comma 2 ter, aggiunto all’articolo 16 può creare molti problemi: «Dall’attuazione delle modalità di svolgimento del servizio dei docenti impegnati nell’istruzione domiciliare, di cui ai commi 1 e 2-bis non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
Non è detto che nel progetto di istruzione domiciliare degli alunni con disabilità si debbano utilizzare solo insegnanti di sostegno: anche per loro, se serve, deve essere possibile avere contatti con tutti i propri insegnanti. L’istruzione domiciliare ha finanziamenti specifici (Decreto Legislativo 63/17, articolo 8) e poterli usare per tutti, ma non per gli alunni con disabilità, rappresenta un evidente e incomprensibile atto di discriminazione.

di Flavio Fogarolo e Giancarlo Onger

(fonte: https://www.superando.it/2019/05/24/le-modifiche-al-decreto-sullinclusione-scolastica-il-dibattito-e-aperto/)

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