Ma noi le vite degli altri le sappiamo immaginare? Le finestre illuminate la sera: intuiamo la cucina, i pensili, ci domandiamo perché diamine qualcuno scelga le luci bianche o, peggio, al neon. Sappiamo immaginare quel che ci somiglia, quel che potremmo essere noi. Il resto è complicato. Scostiamo lo sguardo.
Ecco perché di Ahmed ci facciamo bastare il suo vivere con cinque fratelli e il suo parlare, in casa, soltanto arabo. Ecco perché della follia raccontiamo il lato romantico, il genio, il fascino. Ecco perché diciamo “diversamente abile” e parliamo di “bambini speciali”. Il tema dell’inclusione, demandato all’insegnante di sostegno, si traduce un po’ troppo spesso in un “pensaci tu che segui lui”, dove “tu” e “lui” diventano animali fantastici di Borges all’interno di un’aula scolastica, un poco discosti.
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